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Spazi vuoti

Stefania Carini · 16 Aprile, 2021 · Storie · 0 commenti
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«Eravamo costretti a stare soli»

Stefania Carini

Francesco Lupic è un architetto di quasi 34 anni. Tornato a Milano nel 2014 dopo diversi anni all’estero, ha trovato casa in via Padova. Con il suo studio – mi ha raccontato – ha anche partecipato alla creazione del progetto di riqualificazione della sua via, di cui molti parlano e che dovrebbe iniziare ad aprile 2021. Durante il lockdown il suo lavoro si è fermato, e si è ritrovato solo. Così ha ripensato a come riorganizzare la sua casa, come molti suoi clienti. Da architetto ha visto la città, i suoi spazi esterni ed interni, vuoti di tutto. Quando elenca le cose che ora gli mancano, non posso che dargli ragione. Sono cose superflue – dicono alcuni – solo che la vita è fatta anche di quelle cose lì (e che non sono superflue poi se sono il tuo lavoro). Francesco come me e come molti italiani ha riscoperto anche il piacere di cucinare, inteso però come il piacere del tempo dilatato. Cioè prendersi tutto il tempo necessario per realizzare qualcosa che amiamo seguendo le tradizioni di una volta.

Quando ho scoperto del lockdown ero a Milano. Mi ha chiamato mia madre, che è insegnante, e mi ha detto: “Io domani non vado a scuola, e secondo me non devi andare a lavorare neanche tu”. Niente, mi sono trovato non solo blindato in casa, ma anche completamente solo. Io vivevo da solo all’epoca, e la mia ragazza era tornata in Liguria per assistere la madre. È stato un po’ uno shock. Con il mio studio poi avevamo in ballo tantissime cose, soprattutto legate al design e al Fuori Salone del Mobile che si sarebbe dovuto svolgere di lì a due mesi. Ci siamo trovati in una sorta di incertezza, con importanti progetti bloccati. Si diceva: “Ma sì, questa cosa dura un mese, poi ritorna tutto come prima, è solo una precauzione per alcune zone d’Italia”. Invece da un giorno all’altro ci siamo trovati a reinventare la nostra professione, che non è fatta soltanto di mero disegno al computer o a mano, ma è fatta anche di andare dal fornitore a scegliere il materiale, andare in cantiere per dare indicazioni alle maestranze, incontrarsi con il cliente per decidere dei colori… Oltre a questo, ci eravamo decisi finalmente a cambiare studio, a trasferirci in piazzale Loreto: avevamo metà degli arredi in un ufficio e l’altra metà degli arredi nell’altro ufficio. Abbiamo dovuto pagare due affitti contemporaneamente! Adesso vado lavorare tutti i giorni, ho dei permessi. Mi sento molto molto fortunato. Se ad esempio avessi avuto lavori con l’ente Fiera  ora sarei rovinato

Trovarsi soli, e poi non più

I primi giorni non è stato difficile. Ero più preoccupato dal punto di vista lavorativo che dal punto di vista degli affetti e della socialità. A me è pesato man mano che le settimane passavano. Sono abituato a stare da solo, perché comunque ho viaggiato da solo, sono stato anche mesi da solo in vacanza, non è una cosa che mi dà fastidio. Però anche quando viaggi da solo, se vuoi parlare con qualcuno, e se sei una persona socievole, basta che ti siedi in un bar o in un ostello e il modo per non rimanere da solo ce l’hai. Invece in lockdown eravamo proprio costretti a stare da soli. Aprile per me è stato il periodo più difficile, perché per il mese di marzo avevo ancora delle cose lavorative da fare. Abbiamo disegnato, progettato, partecipato a un concorso internazionale di architettura per tenere mezza giornata occupata. Però senza i cantieri, la direzione lavori, la direzione alla sicurezza, è diventato molto difficile. Non vedevo l’ora di poter tornare a lavorare. Successivamente la mia fidanzata è tornata dalla Liguria, e abbiamo deciso di andare a vivere assieme. Ne avevamo parlato, ma non era una cosa prevista per quel momento. Però lei è stata messa in cassa integrazione fino a ottobre, e con il costo degli affitti a Milano, nonostante il suo padrone di casa avesse cercato di venirle incontro, alla fine del mese non le rimaneva molto… E insomma era una cosa che volevamo fare però è stata un po’ dettata dalla contingenza!

Ripensare la casa

Ho una camera in più. Avevo sempre pensato di metterci un letto matrimoniale per farla diventare una camera per gli ospiti. Oppure che poteva andare bene come camera dei miei futuri figli. Durante il lockdown di un anno fa ho però pensato di trasformarla in uno nuovo studio che potevo usare quando stavo a casa. Come molti, e non solo perché sono architetto, mi sono trovato a ripensare alcuni spazi di casa mia: quella parete la faccio di quel colore perché mi sembra un po’ smorta, quel muro potrei abbatterlo… Sul lavoro, vedo che da parte dei clienti sta aumentando l’attenzione per i dettagli, sia a livello estetico sia a livello tecnologico sia – uso un termine non del tutto corretto – “costruttivo”. Passando così tanti mesi in casa, le persone hanno iniziato a interessarsi anche alla macchia di umidità in cantina di cui si erano dimenticati. Hanno capito che la manutenzione quotidiana del costrutto edilizio è una cosa importante: se si investono i soldi in una maniera oculata poi non se ne deve preoccupare per un sacco di tempo. Inoltre molti clienti mi hanno contattato nei mesi successivi la pandemia per creare arredi su misura e delle zone per poter lavorare, o per migliorare l’aspetto impiantistico della casa. L’ambiente più gettonato è il bagno: prima ci passavi mezz’ora la mattina e mezz’ora la sera, ora se sei costretto a stare in casa tutto il giorno per dei mesi, diventa un ambiente che frequenti di più! Quindi hai più piacere che il rubinetto funzioni bene, che il getto d’acqua calda duri un po’ di più, che la caldaia non perda pressione… Poi il governo ha avuto l’idea di proporre questi bonus sulle ristrutturazioni, e lì si è scatenato l’inferno: chiunque crede di poter rifare la casa gratuitamente, e non è proprio così. “Facciamo il cappotto, gratis!” (ride). Vero però che un conto è tornare a casa la sera quando il condominio accende il riscaldamento, un conto è passarci tutto il giorno quando in casa tua non ci sono 22 gradi come alla sera, ma 16. La gente si è accorta sulla propria pelle di cosa vuol dire stare chiusi dentro quattro mura per settimane. E allora vuoi che quelle quattro mura siano accoglienti e rispecchino quello che tu sei, perché ci devi stare bene. 

Niente modelle. E uffici vuoti 

Io ho la fortuna di lavorare in centro, perché mi occupo della manutenzione di due stabili in Brera. Un idraulico mi ha detto una volta: “Quest’anno non si vedono più stranieri, non si vedono più modelle, non si vedono più quelle persone un po’ strane vestite in maniera appariscente che girano quando c’è la settimana della moda”. Per lavoro vedo un sacco di stabili, la cosa che mi sconvolge è sempre entrare in un posto e dire: “Ma qua? Non c’era qualcuno?”. E sentirmi rispondere: “Sì, un ufficio, hanno rescisso il contratto”. Ho visto andar via studi notarili, studi di avvocati, aziende nel settore della moda. Posti dove normalmente c’erano 200/400 persone tutti i giorni a lavorare, ora sono vuoti, completamente vuoti. Ma non vuoti di persone, ma vuoti di tutto: non c’è più nulla.

Mi manca quello che succede dopo le 18 

Quello che mi manca della città? Da quando hanno istituito il sistema delle zone, fino alle 18 non c’è una grande differenza. Io poi ho i permessi per lavorare. Mi manca la pausa pranzo con i colleghi, però è una cosa che supero. Quello che mi manca è quello che succede dopo le 18. Mi è mancato quest’anno il Fuori Salone – non l’avrei mai detto, di solito lo odiavo, perché dovevo lavorare come un pazzo. Mi manca poter chiamare degli amici e farmi un aperitivo, mi manca andare fuori a cena con la mia ragazza, con i miei genitori, con i miei amici. Mi manca tornare a casa dopo le 10 di sera. Mi manca la musica, ballare, ma credo non solo a quelli della mia età. Mi manca l’aspetto internazionale di Milano. Mi mancano gli studenti di altre regioni, mi manca anche andare in un locale e sentirmi dire: “Non c’è posto, è tutto pieno”.  

Il tempo per fare il pesto col mortaio

Sarà banale, però una cosa che ho riscoperto è il tempo per me. Prima, ad esempio, facevo le lavatrici solo di domenica. Adesso avendo meno lavoro, e organizzandolo in maniera completamente diversa perché entro le sei smette tutto, vado a lavorare prima e torno a casa prima. Avendo più tempo per me, ho riscoperto come molti il piacere di cucinare seguendo tutti i procedimenti della tradizione. La mia ragazza è ligure, quando ci siamo conosciuti la pigliavo in giro dicendo che io facevo, col frullatore, il pesto meglio dei liguri. Quando abbiamo iniziato a frequentarci, una delle primissime volte che è venuta a Milano – era a ridosso del mio compleanno – mi ha portato un mortaio di marmo, di quelli veri, che si usano alle Cinque Terre. Mai mi sarei detto: “faccio il pesto con il mortaio!” Per me era più un oggetto di design. E invece durante la pandemia avevo talmente tanto tempo libero che l’ho fatto addirittura tre quattro o volte.

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